Quella notte

Non dormii, non avrei potuto. Camminai. Sì, camminai a lungo. Camminai e nulla più.

C’era solo il rumore dei passi, i miei. Mi ricordo ancora chiaramente quel ritmo che a tratti sembrava sconnesso e a tratti deciso. Per me aveva un suo senso, come tutto quello che dovevo lasciarmi alle spalle.

Tump. Clomp. Toc. Splash. – pare sia questo il rumore dei passi, mah! Fonte: Il glossario del fumetto.

Non trovai giusto il pensare, mi sarei solo fatto del male. Per questo camminai. E camminai. Semplicemente, camminai. E lasciai che le immagini di quella città così luminosa mi ferissero e mi attraversassero gli occhi.

Ero come un vetro pulito, totalmente trasparente. Sì, ero trasparente. E vero. Ero vero come solo un dolore sa esserlo.

Percorsi tante miglia. Non c’era altro in me se non l’idea di andare avanti. Non m’importava neanche il dove, con chi mi sarei scontrato o chi avrei incontrato o chi avrei toccato o accarezzato o amato o usato o con chi avrei riso o pianto o chi avrei, semplicemente, ignorato.

Sapevo solo il cosa e il come. Andare avanti, e farlo camminando.

Ancora. Ancora. Ancora. E ancora. Volevo solo andare avanti, quella notte.

Avanti, oltre quell’idea. Oltre quella voce. Oltre quel profumo, quel pensiero. Oltre me stesso e il mio egoismo. Oltre il peso del suo tatto. Oltre quel senso di solitudine. Oltre quella vita che volevo, ma che non era mia. Oltre un’opportunità gettata al vento. Oltre il momento non giusto, e per questo ingiusto. Oltre un’emozione tradita. Oltre il presente. Oltre l’imminente futuro. Oltre la rabbia. Oltre il desiderio di essere completo. Avanti, solo avanti. Oltre quel dolore.

Per questo camminare mi sembrò un’idea saggia, quella notte.

E camminai fino all’alba e oltre, attraversando anche i giorni successivi. Camminai, perché quella notte doveva essere percorsa per avere una fine. E camminai finché non trovai un giorno nuovo, finché non riconobbi più me stesso nel risveglio della luce e nel suo coricarsi, la sera, in quell’idea. In quel dolore. Ricordo che fu lunga e silenziosa, quella notte, ma nell’oscurità, come nella luce, trovai conforto, giorno dopo giorno, nel passo successivo che riuscivo a muovere. E nel suo suono.

Clomp. Tump. Splash. Toc.

Un passo più in là. Un suono più in là. Non m’importavano il tempo e la distanza, quel che contava era solo superarla, quella notte.

Camminare e non pensare fu, verso me stesso, come ricambiare un regalo senza rispettare le feste.

C’era lei, quella notte. C’era il silenzio. E c’ero io. Solo, finalmente. Oltre quella notte.

32 Comments

  1. ha il sapore di un romanzo di quelli scritti bene, in cui arrivi quasi alla fine e sei totalmente immedesimato nel personaggio. provi le sue stesse emozioni, e sensazioni, e vedi ciò che i suoi occhi vedono.
    e leggi d’un fiato perchè ci sei dentro, ma allo stesso tempo dai una sbirciatina alle pagine che mancano…e sono troppo poche.
    ce la potresti scrivere una storia, magari…perchè scrivere così è una dote che hanno in pochi.
    o magari l’hai già scritta, e va bene così 🙂
    grande

  2. L’ho riletto così tante volte, ma così tante volte, che ho come la sensazione di averla superata anch’io, quella notte.

    Sei intenso, molto molto intenso. Continua così, inizierò a seguirti.

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